Meditando

inquantodonna

l condizionamento delle coscienze
Come confezionare un allarme falso:
lezione 1 – prendere il dato globale del fenomeno “omicidi volontari”
lezione 2 – enfatizzare solo il dato che riguarda le vittime femminili, anche se minoritario
lezione 3 – ignorare il dato che riguarda le vittime maschili, anche se maggioritario
lezione 4 – giocare sull’equivoco, facendo credere che tutte le vittime femminili, nessuna esclusa, siano catalogabili come “femminicidio”.
lezione 5 – lasciare che i media abbocchino: tutti titolano “FEMMINICIDI IN AUMENTO, UNO OGNI TRE GIORNI – 125 DONNE UCCISE NELL’ULTIMO ANNO” senza che nessuna fonte ufficiale smentisca, chiarendo l’equivoco di fondo sul quale è costruita la menzogna.
Gli uomini uccisi sono 194, il 60,8% del totale, ma questo dato non è funzionale alla costruzione di un allarme artificiale quindi viene ignorato.
Per gli uomini non viene scorporato il dato relativo a quelli uccisi da mogli, fidanzate, conviventi o ex, non nasce una commissione parlamentare ad hoc, non nasce un allarme sociale.
Il report del Viminale dice che 108 vittime femminili sono conseguenza di eventi maturati “in ambito familiare o affettivo”, è questa la dicitura utilizzata, che però non specifica il genere dell’autore, ne’ il movente.
Mancanza gravissima, imperdonabile, poiché il cosiddetto femminicidio (ricordiamolo ancora una volta: termine esclusivamente mediatico ma inesistente nel codice penale, sia come fattispecie autonoma di reato che come aggravante) dovrebbe, nelle intenzioni di chi ne rivendica la validità, connotare i fatti di sangue che vedono una donna uccisa inquantodonna.
Lo sappiamo, uccisa inquantodonna non vuol dire nulla, ma è una insistente propaganda a sostenere che le donne verrebbero uccise per la sola colpa di essere donne.
Altre fonti dicono che, come requisito essenziale, l’assassino deve essere un uomo; poi la colpa dell’evento delittuoso è attribuibile al patriarcato, all’oppressione di genere, alle sovrastrutture culturali maschiliste, alla fallocrazia, alla mascolinità tossica, al possesso, alla gelosia morbosa, all’incapacità maschile di accettare la fine di un rapporto e una dozzina di altre motivazioni più o meno analoghe.
Tuttavia le contraddizioni dilagano, perfino l’assassino di genere maschile non è un requisito indispensabile: la povera bambina uccisa dalla madre viene inserita tra i femminicidi, a chi fa notare l’assurdità viene risposto che, pur essendo una donna l’assassina, a giudizio di chi compila gli elenchi la morte della piccola ha “una matrice patriarcale” quindi è femminicidio.
L’hanno scritto davvero.
Nella classificazione “donne uccise in ambito familiare o affettivo” entrano anche le donne uccise da altre donne (le madri, le figlie, le nipoti, le partner o ex partner omosessuali), uccise per movente economico (debiti insoluti, ricatti, eredità contese) o uccise per non farle più soffrire; è il filone, purtroppo corposo ogni anno, dei delitti di anziani che uccidono la moglie malata terminale e poi si suicidano. È la pietà la molla scatenante, nulla a che vedere con gelosia morbosa, patriarcato, etc., comunque finiscono sempre tra i femminicidi.
Ultimo distinguo del report: “in particolare 68 donne sono state uccise da un partner o ex”.
Ah, ecco.
Quindi da circa 120 si passa a circa 60, dimezzato il dato allarmistico iniziale che però è l’unico che – nonostante sia falso – dilaga sui media: 125 femminicidi, uno ogni tre giorni.
Nemmeno il dato di 68 vittime del partner o ex chiarisce il movente che invece costituisce, o almeno dovrebbe, la caratteristica principale del cosiddetto femminicidio.
Bisogna lasciare intatta la cortina fumogena che avvolge le classifiche sui femminicidi, la responsabilità è da ascrivere esclusivamente alla Senatrice Valente, presidente della Commissione Femminicidio, che non ha mai voluto ne’ saputo ufficializzare i criteri ai quali un fatto di sangue debba rispondere per essere classificato come femminicidio, ne’ ha mai voluto o saputo pubblicare un elenco dei delitti che tali criteri soddisfano.
Nessuna chiarezza, nessuna ufficialità, nessuna oggettività, è più conveniente lasciare ad una indefinita fluidità soggettiva la valutazione di quali episodi, anche a forza, possano essere infilati tra i femminicidi.
Ecco come nasce l’allarme sui femminicidi in aumento.
Sul poertale La Fionda lo abbiamo detto e scritto mille volte, ma giova ripeterlo: la nostra analisi non è la negazione della violenza che spinge ad uccidere una donna, è la contestazione dei dati falsi.
Massima empatia per le donne uccise a causa della gelosia morbosa di partner o ex partner, massima partecipazione al cordoglio delle famiglie, massima condanna ai gesti criminali.
Resta il fatto che propagandare 125 femminicidi all’anno è una bufala, nulla di più e nulla di meno.
A chi giova costruire un allarme fittizio?
Quali fondi, norme restrittive, centri antiviolenza e serbatoi elettorali nascono da un allarme gonfiato ad arte?
Fabio Nestola

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